Non sono nata diga

Come un’autostrada piena di gallerie. Quando finiranno? Buio e luce, buio, buio, luce, di nuovo buio. La vita a volte è così. Io ci entro incosciente e certa di trovarne l’uscita, a volte ho creduto fosse più corta, a volte sembrava non finire più.

E quando finiva non riuscivo a godere un po’ di panorama che ne iniziava un’altra. E mi piacerebbe essere come quelli che “beh, dai, apprezzerai meglio il panorama, poi”, ma anche no, il panorama l’avrei apprezzato lo stesso e bene anche senza tutte queste gallerie. Come quando mi dicevano che dopo tanta fatica avrei apprezzato di più l’essere mamma. “Stocazzo”.

Che oltre a tutto il prima, alla lunga galleria percorsa prima di averla, mia figlia, che di solito una donna ci mette nove mesi per partorire, io ci ho messo cinque anni. Ma vabbè, dicevo, oltre a tutto il prima c’è stato il dopo. Un dopo durato otto anni.

Otto anni di me che cerco di fare meno danni possibili nel crescere una bambina, otto anni di cose desiderate e mai avvenute, di premure e attenzioni inesistenti e sperate, chieste, elemosinate, a volte. Otto anni di inciampi, di rincorse per poi non partire mai, di “guardachelofaccio” e poi una maledetta paura che rovinava tutto, otto anni di coraggio spento in tutti quei “madovevuoiandaresenzadime”.

E infatti non andavo da nessuna parte. Nel frattempo, lei cresceva. Senza una playlist di canzoni belle. Senza ricordi da conservare. Senza quelle cose che fanno i papà. Che io c’ero, io c’ero sempre, ma io non sono un papà. E certe cose io non ci sono riuscita a dartele. Otto anni di me e te. Otto anni di me e te che andiamo a fare la spesa, che andiamo al cinema, che andiamo a pattinare, che andiamo al parco, che andiamo. Senza essere mai andate davvero da nessuna parte.

E allora da oggi io e te impariamo che possiamo andare ovunque. Pure se ho difficoltà a non perdermi quando mi chiudono una strada e devo trovare un’alternativa. Ci sarà un parcheggio abbastanza grande per noi. Abbiamo tante cose da vedere e da fare.

Adesso chiudi gli occhi, che entriamo nella prossima galleria. Magari è l’ultima, guido io, ma a guidare noi due sono abbastanza brava. Non è come guidare la nostra auto.

Ho sempre lasciato che se ne andassero. Cose e persone. Se qualcosa o qualcuno non fa per te, che lo tieni a fare? Il mio armadio contiene solo abiti della mia taglia e che indosso. Tutti gli altri, quelli troppo larghi, quelli troppo stretti, quelli che mi stavano male o che non sentivo miei, via. In una busta. A che serve trattenere? Odio trattenere e trattenermi. Non sono nata diga. Sono nata fiume. Per questo vado avanti, perché il mare da qualche parte dovrà pur esserci.

E poi ci sono gli altri. Quelli che trattengono. Quelli che non vogliono proprio lasciar andare. E finisce che restano impantanati e fanno impantanare anche chi hanno accanto.

Nessuna selezione, nessun riguardo per sé stessi e per chi hanno vicino.

Come se lasciare andare non fosse un estremo atto d’amore. Per sé e per chi vuole andare via.

Ho spento l’auto e sono rimasta ferma a guardare la gente ai parcheggi del supermercato.

Ci sono le famiglie e le coppie, ci sono le donne sole che però a volte non sono tanto sole come quelle con mariti e figli, ci sono i ragazzi, gli anziani, le donne con i cani in borsetta e gli uomini single.

Poi ci sono io, che resto in macchina e li guardo. Posare e prendere carrelli, cercare monetine e gettoni, dire no al ragazzo di colore che chiede sempre le stesse cose alle stesse persone che gli diranno lo stesso no scuotendo la testa.

Le chiavi dell’auto sono sul sedile accanto, insieme alla borsa e a chi dovrebbe esserci, su quel sedile. Vorrei esserci io, smettere di guidare e godermi un po’ la corsa. Guardare fuori dal finestrino la vita che scorre e fregarmene, che tanto io sto andando via.

Come quando correvo verso la Croazia mentre l’auto si riempiva di I’ll make you see God, e la mia amica dormiva e io guidavo e pensavo che, in fondo, non siamo alberi, ed è bella questa cosa che puoi andartene e lasciare indietro quello che non vuoi.

Che il concetto di radici è bello, sì, ma solo se le radici puoi portartele dove vuoi e ficcarle nel terreno che scegli tu.

Tu. Che bella parola. Racchiude tutte le possibilità del mondo. E la certezza più grande, la sola che ho: ho voglia di ridere.